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Il social network di Google, Google+, ha superato Twitter per numero di utenti attivi e adesso si trova al secondo posto nella classifica delle rete sociali più utilizzate.

Al primo posto c’è l’onnipotente Facebook, che supera il miliardo di utenti attivi. Al secondo c’è appunto Google+ con 343 milioni di utenti, al terzo c’è il popolarissimo sito di video sharing Youtube che conta 300 milioni di utenti e infine viene Twitter con 288 millioni.

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Insomma, la casa di Mountain View è arrivata molto tardi nel mondo social ma sta facendo di tutto per recuperare il divario e imporsi anche come social network. Il management Google, probabilmente, ha il terrore che Facebook prima o poi decida di passare all’età adulta, varando un vero motore di ricerca con advertising contestuale, il che sarebbe una sfida al loro attuale monopolio. In ogni caso possono dormire sogni tranquilli, visto che a Facebook hanno deciso di gingillarsi con il graph search.

La strategia di promozione di Google+

La strategia che il management di Mountain View ha utilizzato per promuovere Google+ è stata spietata. Per prima cosa, lo sviluppo di questa piattaforma ha cambiato internamente la compagnia. Prima di Google+, infatti, ai dipendenti era concesso un 20% di tempo per sviluppare progetti personali interessanti.

Quando è iniziato lo sviluppo del social network, invece, questo privilegio è stato revocato. Tutte le energie dovevano essere profuse nel progetto: evidentemente c’era il terrore che Facebook potesse erodere il ricco mercato di Google.

In seconda battuta, Google ha costretto tutti coloro che hanno una presenza sul web ad utilizzare Google+ per segnalare la paternità dei contenuti diffusi su internet, concedendo anche la possibilità di visualizzare la  foto del proprietario accanto al link al  sito tra i risultati forniti dal motore di ricerca, una possibilità che dovrebbe aumentare il tasso con cui gli utenti cliccano su quel link.

Questo primo passaggio ha portato un certo numero di utenti iniziali a iscriversi, seguiti ovviamente anche dai curiosi (o meglio sarebbe dire forzati) della tecnologia, quelli che hanno un account su praticamente qualunque social network.

Google ha anche provato a integrare Youtube, il popolarissimo sito di video sharing, con Google+ ma alcuni tentativi hanno provocato una rivolta degli utenti e quindi la casa di Mountain View ha dovuto fare un passo indietro, almeno temporaneo.

Ma sono sicuro che nell’immediato futuro Google tenterà un avvicinamento, se non una fusione, tra i due servizi: in questo caso si troverebbe un social network con più di 600 milioni di utenti e potrebbe aspirare ad una posizione dominante anche in questo settore.

I pregi di Google+

Non bisogna pensare tuttavia che il prodotto sia di scarsa qualità e che Google lo stia promuovendo solo facendo leva sulla sua posizione dominante. In effetti è un buon social. Per chi vuole avere a disposizione uno strumento per seguire gli aggiornamenti e le discussioni in settori professionali, ad esempio, è largamente migliore di Facebook che probabilmente è più adatto a scopi più privati.

Personalmente sto provando Google+ sul serio solo da alcune settimane e devo dire che su argomenti tecnici o specialistici c’è un livello di engagement molto superiore a quello presente, ad esempio, in Facebook.

La guerra dei social

La grande battaglia per il dominio del settore è però appena agli inizi: ogni giorno nasce un nuovo social, spesso di nicchia, ma ci sono grandi progetti che possono venire alla ribalta da un momento all’altro. E non dimentichiamoci che potrebbero arrivare sorprese anche dalla Cina o dalla Russia.

E come tutte le guerre non si combatte solo sul campo, ma anche con informazione e controinformazione: in effetti la casa di Moutain View è molto abile nel segnare i propri successi, come ad esempio proprio il sorpasso di Twitter che ha dato spunto a questo articolo….

trimestrale di google

Google è un moloch che domina ormai quasi incontrastato il mercato della pubblicità contestuale, fa trovare alle persone quello che cercano nel momento stesso in cui lo stanno cercando e ci guadagna, molto.

trimestrale di google

Ieri è stata presentata ufficialmente la trimestrale per l’ultimo trimestre del 2012 e i dati sono esaltanti, superiori persino alle più ottimistiche attese degli analisti finanziari. Ovviamente, esaltanti per chi possiede azioni Google. Ma per gli altri attori della rete? Per i piccoli editor che si affannano a fornire informazione indipendente? E per gli utenti?

Vediamo con calma.

Partiamo dai numeri: Google ha fatto un utile netto, in soli tre mesi, di 2,89 miliardi di dollari. In tutto il 2012 il suo fatturato ha raggiunto per la prima volta quota 50 miliardi di dollari. Insomma, una marcia trionfale, appena appannata dai conti di Motorola, da poco acquistata da Google, che perde qualcosa.

Se gli azionisti del motore di ricerca di Moutain View possono stappare una bottiglia di champagne d’annata per festeggiare (e ci devono essere abituati, visto che ne hanno stappata un’altra giusto qualche giorno fa per festeggiare lo scampato pericolo del motore di ricerca Facebook), vediamo che cosa devono pensare tutti gli altri, utenti di internet e produttori di contenuti.

Il dato che mi ha colpito di più è la crescita del 24% dei click sponsorizzati, quelli che fanno guadagnare Google. Un dato veramente gravissimo, dalle conseguenze nefaste per tutti.

Cosa sono i click a pagamento

Quando si fa una ricerca con Google ci sono due tipi di risultati: quelli sponsorizzati e quelli naturali. Per essere presenti tra i risultati sponsorizzati bisogna pagare Google per ogni singolo click. Il motore di ricerca visualizza gli annunci che sono pertinenti con quello che l’utente sta cercando. I risultati naturali sono invece costituiti da quei siti che meritano, per così dire, di essere trovati perché contengono contenuti interessanti per gli utenti. E’ ovvio che Google a tutto l’interesse a far crescere i click a pagamento e nell’ultimo anno ha portato avanti questa politica con mezzi spietati.

Solo per fare qualche esempio, ha modificato più volte il suo algoritmo per scompaginare i risultati di ricerca, costringendo chi perde le prime posizioni ad acquistare click a pagamento. Ha colpito duramente i siti che contengono pubblicità, in modo da eliminare concorrenti. Ha persino reso più visibili e invasivi gli annunci, in modo da attirare l’attenzione degli utenti.

Cosa succede ai piccoli editor

Il web non è fatto solo dalle grandi compagnie che guadagnano miliardi: è fatto anche da una miriadi di piccoli editor che contribuiscono con blog e siti alla libertà e alla pluralità dell’informazione. Questi editor spesso vivono perché vendono pubblicità sui loro siti. Ma se non riescono più ad avere un pubblico (perché Google lo dirotta in misura sempre maggiore sui link sponsorizzati) il loro modello di business è finito. Tra l’altro Google non consente loro neppure di acquistare dei click sponsorizzati a meno che non abbiano un prodotto o un servizio da vendere direttamente. Insomma, Google non vuole lasciare a questa categoria nemmeno le briciole.

La visione del web di Brin e Page

A questo punto possiamo esplicitare la visione che Page e Brin, i fondatori di Google, hanno del web. C’è Google ovviamente, che smista e gestisce il traffico. Ci sono dei fornitori di contenuti che lavorano gratis come Wikipedia e i blogger amatoriali, ci sono coloro che hanno servizi o prodotti da vendere e che devono spendere pesantemente per avere visitatori. Una visione cupa, secondo me, una visione che porta ad una distruzione di valori per gli utenti.
A me questa visione non piace per niente, è probabilmente il peggior attacco alla libertà di internet che sia mai stato portato. Ma è un attacco lento, strisciante, che non fa notizia. Peccato che i più non ne accorgano adesso. E peccato soprattutto che le antitrust di USA e UE non abbiano proprio nulla da dire per pratiche che stanno diventando sempre più border line.

 

fondatore di google Larry Page

E’ stata accolta con toni osannanti da tutti i media e i social media l’intervista al cofondatore di Google Larry Page, apparsa ieri su Wired.

fondatore di google Larry Page

Il cofondatore di Google, Larry Page, è stato intervistato da Wired

A me, invece, in alcuni passaggi ha fatto venire i brividi. Soprattutto quando sottolinea come la concorrenza e la competizione non sono affatto funzionali all’innovazione, che l’innovazione ha ben altri carburanti.

Ecco, questo pensiero da 2 anni a questa parte ispira tutta la linea aziendale di Google: l’idea è quella di occupare tutte le nicchie e soprattutto di incamerare tutti i possibili profitti pubblicitari, senza lasciare nemmeno le briciole agli altri attori di internet.

E non dico ai competitor, agli altri motori di ricerca, ma neanche ai piccoli produttori indipendenti di informazione, che sono una delle risorse più preziose del web, non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista della libertà di espressione e della diffusione delle idee.

E Page davvero non ha peli sulla lingua: ne ha per Apple che secondo lui ha implementato una strategia fallimentare per non essere riuscita a sconfiggere Android. Tuttavia non bisogna dimenticare che Apple si posiziona nella fascia alta del mercato e le statistiche sarebbero molto diverse se invece di considerare le unità vendute considerassimo il fatturato e, ancora diverse, se considerassimo gli utili ottenuti.

E poi c’è anche da dire che il successo di Android, tanto sbandierato da Page, è dovuto soprattutto a Samsung, che utilizza una sua versione parecchio modificata (e che a Google propio non piace) del sistema operativo.

In fondo Apple non è un’azienda fallimentare: basta guardare al suo fatturato  alla sua quotazione che è in discesa ma comunque la sua capitalizzazione resta impressionante. Peccato poi che Page non abbia mai sentito il bisogno di parlare quando Steve Jobs era ancora in vita e lo faccia ora.

Ma passiamo avanti. Ci sono legnate anche per Facebook, che in effetti Google ha temuto molto, costringendolo a varare in fretta e furia il social Google +. Tuttavia il social network non ha saputo capitalizzare il suo immenso vantaggio competitivo ed è destinato se non al declino, ad un destino grigio, di player importante ma non dominante.

Page pone spesso l’accento sull’innovazione, sulla necessità di non procedere per miglioramenti incrementali ma per salti rivoluzionari e fa l’esempio di Google X, dove appunto si progettano prodotti innovati come gli occhiali con sistema operativo Android che presto arriveranno sul mercato (ammesso che qualcuno senta il bisogno di comprarli).

Insomma, nell’immaginario del fondatore di Google c’è un mondo dove Google ha il monopolio dell’innovazione e reinveste una parte dei profitti per fare altra innovazione.

A me questo scenario fa venire i brividi.

 

apple google

Abbiamo parlato più volte della pervasiva diffusione di Google nei mercati più vari: dal core business della ricerca online, fino ai cellulari. Oggi esce una notizia estremamente interessante: la casa di Mountain View riesce a fare profitti persino sfruttando il suo acerrimo nemico Apple.

apple google

Forse la definizione è esagerata, visto che le due aziende fino ad un paio di anni fa avevano persino consiglieri di amministrazione in comune (e qualche analista aveva addirittura paventato un’alleanza tra le due) ma la lotta per il predominio del mercato mobile si è fatta, in questi ultimi tempi, davvero dura.

Eppure, esaminando le statistiche delle applicazioni più scaricate Apple si evince che tra le primissime applicazioni ci sono proprio quelle sviluppate da Google, in primis Google Maps.

E’ evidente che questo particolare dato è frutto dal miserable failure della versione delle mappe integrate nel software Apple, di cui tanto si è parlato. Ma è altrettanto evidente la strategia di Google.

Apple ha un pubblico affezionato di utenti di fascia alta, con un’ampia capacità di spesa e molto interessati alle nuove tecnologie (sebbene spesso non per il loro valore d’uso ma semplicemente perché costituiscono uno status symbol).

Ebbene, la casa di Mountain View grazie al suo predominio nel mercato delle applicazioni, è in grado di accedere con i suoi annunci pubblicitari anche a questo pubblico.

E in questo è facilitata dalla opacità della attuale gestione Apple, che si è dimostrata incapace di raccogliere la grande eredità di Steve Jobs. Cosa di cui i mercati finanziari si sono accorti: il titolo dell’azienda di Cupertino è passato in breve tempo dai 700 dollari ad azione agli attuali 500, con un outlook pesantemente ribassista previsto dai principali analisti.

Il famoso motto di Svete Jobs Siate folli, siate affamati pare non risuoni più in quel di Cupertino. Viceversa a Mountain View sono sempre più folli, sempre più affamati e cercano di occupare militarmente quanti più mercati possibili e spesso in sfregio ad ogni norma antitrust.

In questo sono aiutati dal fatto che il loro software e le loro soluzioni comunque funzionano meglio di quelle dei concorrenti: internet è pieno zeppo, ad esempio, di segnalazioni di problematiche del software delle mappe di Apple, mentre Google Maps funziona più che bene ed infatti la stessa casa di Cupertino invitò i suoi utenti ad utilizzare proprio questa applicazione concorrente.

 

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